04.12.2010 - L'ASSEMBLEA GENERALE ASSOCIAZIONE DELLA STAMPA SARDA
 

Francesco Birocchi - Cagliari 4 dicembre 2010

Colleghe e colleghi, quando chiude un giornale, quando viene a mancare una voce, quando si riducono gli spazi dell'informazione, siamo tutti meno liberi. La chiusura di un giornale è un fatto grave che colpisce l'intera comunità dei lettori, ma danneggia anche i giornalisti delle altre testate diffuse nel territorio, perché avranno meno occasioni di confronto e perché verranno meno gli spazi di pluralismo, perché sarà più difficile impedire che certe notizie scomode siano nascoste, perché, insomma, la battaglia quotidiana per la completezza dell'informazione diverrà ancora più difficile. Per il sindacato dei giornalisti quando chiude un giornale è un disastro. Per tutte le ragioni che ho appena elencato, ma anche perché si crea una crisi dell'occupazione dalla quale è sempre difficile uscire e perché vi è un grave danno economico che i giornalisti non hanno creato, ma che la categoria è chiamata a ripianare con le proprie risorse.
Tutto questo sta accadendo in questi mesi in Sardegna con la chiusura di E Polis. Vorrei partire da qui per la mia relazione all'assemblea generale della nostra Associazione. Credo che non possa più esserci spazio per dubbi, incertezze o attendismi. Il caso E Polis è chiaro: è stato il clamoroso fallimento di un modello editoriale. Un progetto inventato da Nicola Grauso, un signore che ha saputo perseguire il suo tornaconto personale ma che ha sbagliato i conti dell' impresa editoriale. E a pagare il conto sono i giornalisti.
Aveva cominciato, questo editore, con l'entrare in conflitto con gli edicolanti. Aveva anche sospeso le pubblicazioni per qualche giorno pochi mesi dopo l'inizio dell'avventura, nel 2004 per sostenere meglio le sue ragioni, senza curarsi minimamente della continuità dell'informazione. Il giornale divenne free press e lui disse che la free press sarebbe stata il futuro dell'informazione. Sarò pure un passatista fuori stagione, ma io credo ancora che l'informazione abbia un valore anche economico e che gli editori debbano garantire la presenza del giornale in edicola, in un regime di concorrenza che deve vedere il lettore come unico arbitro.
Ma torniamo a E Polis. L'editore andò avanti ampliando l'iniziativa, nata a Cagliari, con edizioni in altre regioni e con l'ambizione di farne un giornale nazionale. Spiegò ancora che si trattava di un investimento nel futuro. Poi arrivò la crisi. L'estate del 2007 segnò la fine dell'era Grauso. L'editore che si definiva innovatore, che voleva rivoluzionare il mondo dell'informazione, non era più in grado di pagare gli stipendi e fu costretto a chiudere bottega e a ricorrere al più tradizionale degli ammortizzatori sociali: la cassa integrazione. E fu la FNSI, non Grauso, ad aiutare i colleghi anticipando loro i soldi della “Cassa”, prima ancora che il Ministero deliberasse.
Quindi dal cilindro saltò fuori un nuovo editore, Alberto Rigotti, finanziere con scarse competenze nell'editoria. I giornalisti furono costretti ad accettare il “telelavoro”, un sistema che spazza via il concetto di centralità delle redazioni sul quale si basa il nostro contratto nazionale di lavoro e al quale personalmente sono molto legato, perché ritengo che la redazione sia il luogo dove si impara davvero il mestiere, dove ci si confronta, dove nascono le idee per i servizi e le inchieste dove le notizie si verificano dove, insomma, nasce davvero il giornale. Ci fu detto che il telelavoro avrebbe consentito a E Polis di andare avanti e noi accettammo una soluzione che al sindacato non piaceva e che continua a non piacerci. Il giornale tornò in vita e ampliò il numero delle edizioni. La società imbarcò nuovi soci in grado, si diceva, di garantire un sostegno finanziario decisivo.
Invece è andata come è andata: dopo un periodo di agonia (con gli stipendi pagati a singhiozzo e solo dopo gli scioperi dei giornalisti) la fine delle pubblicazioni. I rappresentanti dell'editore hanno denunciato un “buco” di 108 milioni di euro. Siamo a luglio 2010. Da allora c'è stato un rincorrersi di voci, progetti di ardite opere di ingegneria societaria, impegni di ripresa, assicurazioni sul pagamento degli stipendi arretrati e sul ripiano dei debiti con gli enti dei giornalisti e un'unica certezza: il ricorso per 118 giornalisti alla vecchia e sperimentata cassa integrazione. Che peraltro non è stata ancora concessa dal Ministero e che quindi non viene ancora erogata.
Che i tempi di concessione della Cassa sarebbero stati lunghi lo sapevamo e per questo abbiamo sottoscritto un accordo con l'editore per il pagamento degli stipendi arretrati, con un piano che avrebbe consentito da un lato all'editore di far fronte ai debiti con la redazione entro la fine di dicembre e, dall'altro, ai giornalisti di garantirsi un'entrata economica in attesa dell'erogazione della Cassa integrazione. I rappresentanti dell'editore firmarono senza battere ciglio. Era il 23 settembre. Salvo una piccola quota a saldo dello stipendio di giugno, da allora i redattori non hanno più avuto un solo euro. Pare che alcuni di loro siano stati contattati con l'invito a tenersi pronti per l'imminente ripresa delle pubblicazioni. Vittime due volte. Oltre al danno hanno subito anche la beffa.
Intendiamoci, io sarò l'ultima persona a continuare a sperare che l'impresa possa ripartire, che gli stipendi arretrati possano essere saldati, che tutti i giornalisti possano rientrare al lavoro. Ma il comportamento aziendale ci sbatte in faccia un'altra realtà, ben più dura. La redazione è stata sfrattata dalla sede legale di viale Trieste a Cagliari dai proprietari dei locali: alcuni familiari di Nicola Grauso, l'editore che aveva fondato l'impresa e l'aveva guidata sino alla prima chiusura. Noi c'eravamo mentre sigillavano i computers e portavano via le scrivanie. Un episodio davvero sgradevole. Non riesco a dimenticare la delusione e la rabbia che abbiamo provato in quei momenti.
Abbiamo organizzato un'assemblea sui marciapiedi di viale Trieste per cercare di sensibilizzare la città su quanto stava accadendo. La solidarietà della politica è arrivata anche dal presidente della Regione Cappellacci che ha convocato il comitato interassessoriale di crisi. Tra l'altro la Regione attende ancora la restituzione di un finanziamento a suo tempo concesso dalla SFIRS. Ma non c'era più nulla da fare.
C'è stata un'udienza, il 23 novembre scorso, davanti al Tribunale dei fallimenti di Cagliari, sempre su istanza della famiglia Grauso. Al giudice l'editore Rigotti e i suoi consulenti hanno esposto i loro piani ma non hanno prodotto un solo documento che dimostri che quei piani possano davvero essere realizzati. Il giudice ha dato tempo sino all'11 gennaio prossimo e poi il Tribunale prenderà le sue decisioni.
A noi restano le macerie: tre stipendi non pagati ai redattori e milioni di debiti con gli enti dei giornalisti, l'INPGI, la Casagit, il Fondo complementare. Un danno enorme per la categoria, destinato a incidere profondamente nei bilanci degli enti.
Per venire incontro alle necessità dei colleghi e delle loro famiglie il sindacato si è attivato. La FNSI ha deliberato una prima anticipazione della Cassa integrazione prelevando le somme dal Fondo di solidarietà dei giornalisti. L'INPGI erogherà gli assegni in questi giorni, non appena i colleghi avranno sottoscritto le indispensabili dichiarazioni di impegno alla restituzione delle somme percepite. Su iniziativa della nostra Associazione la Regione sarda si è detta disponibile ad attivare il proprio fondo per l'anticipazione degli ammortizzatori sociali. La pratica è complessa anche perché è la prima volta che la normativa viene applicata ai giornalisti. E' stato necessario promuovere una convenzione Regione-INPGI per l'erogazione delle anticipazioni. Grazie alla piena collaborazione dell'assessore regionale al lavoro Franco Manca (un nostro collega pubblicista) e dei funzionari si stanno bruciando le tappe. Ma la burocrazia ha i suoi ritmi e ci vorrà ancora del tempo (non so quanto ma spero non tanto) perché la pratica vada a buon fine. E poi la Regione deve ancora decidere se l'anticipazione potrà essere per tutti i dipendenti di E Polis, come noi abbiamo chiesto, o solo per i residenti in Sardegna.
Ancora due punti e poi chiudo il capitolo E Polis. Ritengo censurabile e irresponsabile il comportamento dei consulenti dell'azienda che hanno fatto circolare via e-mail informazioni inesatte o addirittura false su tempi e modi di erogazione delle anticipazioni della Regione. Sia perché alimentare confusione o speranze nei colleghi già provati da una situazione così difficile è davvero odioso. Sia perché l'azienda non può certo sottrarsi alle sue responsabilità, che restano gravissime, grazie al lavoro del sindacato. Questo è inaccettabile.
Il secondo punto riguarda la rappresentanza sindacale. Per la nostra Associazione il cdr di E Polis è ancora in carica e pienamente operativo in tutti i suoi componenti. La tensione del momento, le voci che circolano, taluni comportamenti, non possono abbatterci. Cari colleghi del CDR, coraggio. Rimbocchiamoci le mani. Abbiamo il dovere di mantenere i nervi saldi. Il nostro compito non si è affatto esaurito. I colleghi hanno bisogno di noi e noi non possiamo deluderli.

La crisi economica che ha investito il Paese ha avuto ripercussioni pesanti anche nella raccolta pubblicitaria. Per nostra fortuna i due grandi quotidiani sardi hanno sostanzialmente retto sia in termini di raccolta che in termini di copie vendute.
Ne ha dato atto l'editore della Nuova Sardegna nell'indirizzo di saluto al vecchio direttore del giornale, Stefano del Re, che è andato in pensione. Al suo posto c'è ora Paolo Catella, già vice direttore, al quale vanno gli auguri di buon lavoro del sindacato, con l'auspicio che alla “Nuova” possa consolidarsi quel clima di agibilità sindacale che ha portato, di recente, al rinnovo degli accordi integrativi al contratto.
Lo stato dei rapporti sindacali viene messo invece alla prova proprio in questi giorni all'Unione Sarda, il cui editore, Sergio Zuncheddu, ha annunciato l'apertura di una redazione romana, con due trasferimenti, una promozione e due assunzioni a tempo determinato, ma ha manifestato l'intenzione di non rinnovare il contratto in scadenza ad alcuni giornalisti che lavorano nella redazione centrale e che sono da anni in attesa di stabilizzazione.
La redazione esaminerà queste comunicazioni nei prossimi giorni e farà le sue valutazioni. Per quanto ci riguarda, come sindacato regionale, abbiamo l'obbligo di ribadire almeno due concetti.
Il primo è che il lavoro giornalistico deve essere, di norma, a tempo indeterminato, perché così prevedono le leggi e il nostro contratto di lavoro. Il precariato può essere accettato solo come soluzione temporanea per far fronte a situazioni che si presume siano, appunto transitorie. Questo è un principio al quale non possiamo derogare, anche perché, lo sappiamo bene, alla stabilità del rapporto di lavoro è legata indissolubilmente la possibilità di corretto esercizio della professione.
Solo con un rapporto di lavoro stabile e consolidato le garanzie professionali contenute nel nostro contratto divengono reali. Il giornalista precario, che svolge la sua attività professionale con la preoccupazione che il suo contratto possa non essere rinnovato è, in tutta evidenza, meno libero o non è libero affatto. E non è un particolare da poco per chi crede nei valori di autonomia e di indipendenza della nostra professione.
E non può essere di consolazione, ne' tanto meno di giustificazione per gli editori il fatto che il lavoro precario sia ormai dilagante. I precari secondo l'Istat sono due milioni e mezzo in Italia, il 12% del totale delle unità di lavoro. E' un sistema che non può più reggersi. Non la voglio fare lunga, perché il discorso dovrebbe spaziare nei campi dell'economia e della tenuta sociale e non è il tema di oggi, mi consola però il fatto che alcune autorevolissime voci si stiano cominciando a levare.
Consentitemi solo la citazione del Governatore della Banca d'Italia che, di recente, ha detto che bisogna dare una prospettiva ai giovani senza posto fisso, anche perché, in caso contrario, si “avranno effetti negativi su profittabilità e produttività” e “si indebolisce l'accumulazione di capitale umano specifico”. Lo dico con parole mie: una volta le aziende investivano nella formazione interna dei giornalisti perché, ritenevano la loro professionalità un valore aggiunto per la stessa azienda. La formula dell'usa e getta comporta invece una evidente e grave sottovalutazione della professionalità giornalistica e della capacità dell'azienda di formarla.
E allora, se accettiamo il concetto che l'azienda editoriale debba essere gestita con criteri economicistici, ne deriva che sarebbe autolesionistico sottostimare il valore della produzione. Insomma giornali, radio e televisioni hanno successo solo se producono buona informazione e produrranno buona informazione solo se potranno contare su giornalisti capaci e indipendenti. In caso contrario sono destinati inesorabilmente al declino.

Visto che stiamo parlando di precariato credo sia il caso di dire alcune parole sulla nuova iniziativa editoriale che ha esordito nei giorni scorsi a Cagliari. Mi riferisco all'edizione locale di “Metro”, quotidiano free-press che già esce a Milano, Roma, Torino, Bologna, Firenze e Genova, con redazioni solo a Roma e Milano e 18 giornalisti, direttore compreso. L'editore Mario Farina ha dichiarato che l'edizione di Cagliari è sperimentale. Il punto sarà fatto fra sei mesi e pertanto sono stati assunti per sei mesi due colleghi professionisti ex E Polis, che saranno affiancati da un gruppo di collaboratori. Lo stesso editore ha detto al sindacato che i due colleghi hanno chiesto di lavorare in “telelavoro”. Auguro ai colleghi che l'iniziativa abbia successo e che il loro posto di lavoro possa stabilizzarsi, pur mantenendo le perplessità già espresse sia sulla free-press che sul telelavoro.

Parlerò ancora di precariato, ma prima vorrei affrontare una seconda considerazione che scaturisce dalle vicende di questi giorni all'Unione sarda. Sono sempre stato convinto che il successo di una iniziativa editoriale dipenda dall'equilibrio dei valori e dei ruoli. I rapporti tra editore e redazione sono regolati dal Contratto nazionale di lavoro e il contratto prevede che la redazione, attraverso il suo organismo sindacale, il CDR, possa “esprimere pareri preventivi e formulare proposte sugli indirizzi tecnico-professionali, la fissazione degli organici redazionali e i criteri per la loro realizzazione, l'utilizzazione delle collaborazioni fisse, gli orari, i trasferimenti, i licenziamenti”.
E' vero che, nella pratica (salvo alcune eccezioni) si tratta di pareri meramente consultivi, ma farebbe un errore gravissimo quell'editore che non tenesse nella massima considerazione i pareri e i suggerimenti della propria redazione. Solo chi vive la realtà quotidiana della redazione ne conosce le esigenze reali. Voltare le spalle alle istanze della redazione significa non riconoscerle il ruolo che essa merita e mortificare le capacità che essa è in grado di mettere in campo ogni giorno. Non è pensabile fare scelte in solitudine. Gli effetti potrebbero rivelarsi fortemente negativi, con conseguenze imprevedibili.
Ecco perché auspico che quella che noi chiamiamo “agibilità sindacale” e cioè, in sintesi, la capacità dell'editore di ascoltare davvero la propria redazione, sia pratica riconosciuta e consolidata nella nostra regione.
Non posso non sottolineare, al riguardo, la sentenza del giudice del lavoro di Cagliari dell’8 ottobre scorso nella quale si censura il comportamento dell’Unione Sarda che, il 19 marzo 2004 rifiutò la pubblicazione di un comunicato sindacale della redazione. Il giudice ha riaffermato il principio contenuto nell’art.34 del CNLG secondo il quale i comunicati della redazione devono essere pubblicati senza che nessuno possa sindacare sul contenuto. Il ruolo del direttore del giornale sul contenuto - dice il contratto – dovrà limitari agli aspetti che investono la sua responsabilità di fronte alla legge.

A fare le spese della crisi economica sono naturalmente i più deboli. Penso, per quanto riguarda l'editoria, all'emittenza privata e, per i giornalisti, al mondo precario del lavoro autonomo.

Ho sempre affermato e lo confermo, che l'emittenza privata è stata in Sardegna e continua ad essere un settore strategico dell'informazione. La professionalità dei giornalisti che vi operano e l'alto indice di ascolto delle trasmissioni di informazione la rendono elemento irrinunciabile di pluralismo territoriale. L'emittenza costituisce inoltre un importante fonte di lavoro giornalistico contrattualizzato. In questo la nostra regione credo che non sia seconda a nessuno.
Due fattori, mi auguro congiunturali, però stanno mettendo a dura prova le nostre emittenti. Il primo è la crisi economica che ha avuto riflessi pesantissimi, come abbiamo detto, sugli investimenti pubblicitari e quindi, poiché le emittenti vivono quasi esclusivamente di pubblicità, gli effetti sui bilanci sono stati disastrosi.
E poi c'è il digitale terrestre. La nostra Isola, come sappiamo, è stata terreno di sperimentazione ed ha dovuto subire tutti gli effetti negativi che ne sono derivati. Per gli utenti innanzitutto che hanno dovuto lottare per mesi con il telecomando per riuscire a sintonizzarsi sui canali desiderati. E per le emittenti che hanno dovuto registrare un sensibile calo d'ascolto e, conseguentemente, una preoccupante disaffezione degli inserzionisti nei loro investimenti pubblicitari. Calo prodotto anche dalla maggiore disponibilità di canali da parte dell'utenza e quindi da un dilatarsi a dismisura dell'area della concorrenza. Poiché per ogni canale analogico le emittenti (anche quelle nazionali) dispongono ora di quattro canali digitali, è come se improvvisamente nella nostra regione fossero editati 12 nuovi quotidiani. E' dunque una situazione che rischia di diventare strutturale e che è aggravata dalla scelta dell'Agcom di privilegiare le emittenti nazionali nella numerazione automatica del telecomando, relegando le locali dal decimo posto in poi.
Personalmente non ritengo la questione cosiddetta “del tasto 9” decisiva per il futuro della emittenza locale. Importante si, ma non decisiva. E' per questo che l'Associazione della stampa ha accettato comunque di aggiungere il suo parere per rafforzare le tesi sostenute nel ricorso al TAR dall'emittente “Videolina”.
Su tema del digitale, sui pericoli, ma anche sulle opportunità che questo sistema avrebbe proposto l'Associazione della stampa organizzò un convegno, il 23 luglio del 2007 a Cagliari, con la partecipazione, fra gli altri dell'allora ministro delle telecomunicazioni Paolo Gentiloni e dell'allora presidente della Regione, Renato Soru. Dicemmo in quell'occasione che la sfida del digitale si sarebbe potuta vincere solo con la qualità e l'originalità dei contenuti proposti, sia da parte dell'emittenza privata che da parte del Servizio pubblico. Uno sforzo da sostenere anche con il contributo trasparente e onesto dell'amministrazione regionale.
Non mi pare però che l'appello sia stato recepito. Non si è visto affatto quel fiorire di iniziative ideative e produttive che sarebbero state necessarie per affrontare la novità e trasformare un problema in occasione di crescita. Ed allora eccoci qui a fare i conti con la crisi. Che le emittenti dimostrano di voler affrontare nel modo peggiore possibile: con i tagli e con la mortificazione della professionalità.
Ha cominciato Antenna 1” di Sassari nel 2008 con il licenziamento di due redattori e il taglio del 50% degli stipendi degli altri giornalisti. I proprietari, commercianti sassaresi, non hanno mai voluto incontrare il sindacato ne' per la verità, i colleghi rimasti hanno voluto dialogare con noi. Abbiamo segnalato la situazione all'Agcom per il taglio dei contributi e spero che sia avvenuto.
Poi “Sardegna 1” di Cagliari. L'editore-banchiere Giorgio Mazzella dopo una lunga trattativa con minaccia di licenziamento collettivo, ha tagliato gli stipendi agli 11 giornalisti, obbligandoli all'utilizzo della telecamera. Inoltre ha eliminato tutte le collaborazioni, stipulando per le corrispondenze un accordo con una agenzia che si fa carico di retribuire i collaboratori. E' un sistema che ha suscitato le proteste dei giornalisti già legati all'emittente e del quale il sindacato dovrà presto occuparsi.
Quindi “Cinquestelle Sardegna” di Olbia, dove l'imprenditore Gianni Iervolino, dopo aver saltato il pagamento di intere mensilità (corrisposte poi a rate dopo l'intervento del sindacato) ha chiesto e ottenuto, il 13 settembre scorso, la cassa integrazione in deroga al 50% per tutti i dipendenti, fra cui 11 giornalisti.
Due parole sulla cassa integrazione in deroga. Dopo l'accordo sottoscritto alla Regione, l'Inps ha comunicato di non poterla corrispondere ai giornalisti attribuendo questo compito all'INPGI. Ne è scaturita una lunga e complessa trattativa con il Ministero del lavoro. L'Associazione della stampa sarda ha seguito la pratica passo per passo con l'aiuto della FNSI e la collaborazione dell'INPGI, sino al raggiungimento di un accordo in sede ministeriale in virtù del quale, d'ora in avanti, in tutta l'Italia la cassa integrazione in deroga sarà corrisposta dall'Inps sulla base dei dati che verranno forniti dall'INPGI, cui spetta la registrazione dei contributi figurativi. E finalmente ieri, 3 dicembre, l'Inps di Sassari ha ricevuto l'autorizzazione definitiva e quindi nei prossimi giorni corrisponderà gli assegni ai colleghi.
Infine Videolina, 20 contratti giornalistici. La crisi è costata all'emittente il 30 % del fatturato al netto dei contributi. Dopo aver drasticamente ridotto le collaborazioni, nel giugno scorso ha chiesto ai giornalisti l'utilizzo della telecamera e il montaggio elettronico dei servizi. E' stato sottoscritto un accordo sindacale che congela a tutto il 2011 il patto integrativo. Nei giorni scorsi l'editore Sergio Zuncheddu (lo stesso dell'Unione Sarda) ha chiesto la sospensione del patto integrativo.
Il sindacato, seriamente preoccupato di quanto si sta verificando, si è attivato per ottenere per le emittenti l'accesso alle provvidenze regionali per la promozione della qualità del lavoro. Grazie all'iniziativa del colleghi del CDR di “Sardegna1” il provvedimento è stato inserito, con unanime consenso politico, nella finanziaria regionale del 2009. Inspiegabilmente però, finora, nessuna delle emittenti ha voluto usufruire dell'opportunità.
L'Associazione della stampa ha proposto allora alla Regione la dichiarazione di “stato di crisi del settore”, condizione che consentirebbe alle emittenti di accedere alle provvidenze senza dover dichiarare lo stato di crisi individuale. Finalmente nel giorni scorsi la FRT ha indirizzato formalmente la richiesta alla Regione che si è impegnata a convocare al più presto un tavolo per esaminare la questione. Ciò dovrebbe consentire alle emittenti di farsi finanziare programmi di aggiornamento professionale per importi interessanti, a ristoro dei propri bilanci. In cambio il sindacato otterrebbe il mantenimento dei livelli occupativi.

Il servizio pubblico. Il sistema dei bacini del precariato sta funzionando. Il periodo di precariato forse dura un po' più a lungo rispetto al passato, ma i colleghi hanno la garanzia di essere assunti in un periodo di tempo prevedibile e programmato. E sono al riparo da sorpassi dovuti a corsie preferenziali o a scelte autonome dei direttori. Ha dato ottimi risultati anche la scelta, fortemente voluta dal sindacato (con quello sardo in prima fila) di procedere alle assunzioni nelle sedi regionali tramite selezione. Nella sede di Cagliari lavorano attualmente sette colleghi passati attraverso la prima selezione. Purtroppo una seconda selezione, già bandita, è attualmente bloccata a causa di un ricorso amministrativo. Il sindacato preme tuttavia affinché l'azienda si decida a sbloccarla al più presto.
Sulla qualità dell'informazione del servizio pubblico si è svolto di recente un dibattito attraverso vari blog. L'Associazione della stampa sarda, chiamata in causa, ha deciso di non intervenire, nel rispetto di una decisione presa a suo tempo che impegna il sindacato a non esprimere giudizi sull'operato professionale dei colleghi. Mi limiterò pertanto a ricordare in questa sede quanto previsto dalla “Carta dei diritti e dei doveri del giornalista del servizio pubblico” parte integrante del contratto integrativo. Dice l'art.16 della Carta: “il giornalista, fermo restando quanto previsto dall'art.8 del CNLG, dovrà svolgere la sua professione in modo tale che non possa, per qualsiasi causa, comportare sovrapposizioni con eventuali attività esterne che condizionino il lavoro redazionale e siano tali da ledere il principio di un’informazione obiettiva e completa nella Rai”.

Gli uffici stampa. A più di 45 anni dall’istituzione del proprio Ufficio Stampa, la Regione sarda, il 4 luglio 2009, ha varato una legge che riorganizza e rilancia questo importante strumento. La legge approvata dal Consiglio regionale (senza alcun voto contrario) prevede che il Presidente possa avvalersi di un “portavoce” e di un ufficio stampa composto da un capo ufficio stampa e da dodici giornalisti, tutti iscritti all’ordine professionale, assunti con contratto a tempo determinato di durata non superiore a quella della legislatura. Il loro compito è, in particolare, quello di seguire il lavoro degli assessorati. L’Ufficio stampa inoltre può contare su altri otto giornalisti dipendenti dell’Amministrazione regionale a tempo indeterminato. A tutti viene applicato il contratto nazionale di lavoro giornalistico.
Ritengo che quella legge sia un risultato importante ottenuto dal sindacato dopo molti anni di impegno e possa rappresentare il primo passo verso una nuova stagione di comunicazione pubblica in Sardegna, anche in assenza di applicabilità della legge 150/2000 che istituisce gli uffici stampa formati da giornalisti nelle pubbliche amministrazioni. La legge nazionale è ancora inapplicata, lo ricordo, per la mancata stipula di un contratto di settore, fortemente voluto dalla FNSI ma osteggiato in tutti i modi dalla pubblica amministrazione.
Nessuna legge è perfetta e quella sull'ufficio stampa della Regione non fa eccezione. Ma sono convinto che di più in quel momento non si potesse ottenere. Inoltre c'è ancora da lavorare per la sua corretta applicazione. L'organico dei giornalisti a tempo indeterminato è incompleto e occorrerà chiedere un concorso per la copertura dei tre posti vacanti. Anche l'organico dei giornalisti a tempo determinato è incompleto in questo momento e poi, anche per quei 12 posti, il sindacato è intenzionato a chiedere per il futuro una stabilizzazione definitiva.
E' largamente carente anche l'organico dell'Ufficio stampa del Consiglio regionale. Su insistenza del sindacato (e anche per esigenze oggettive) l'Ufficio di presidenza del Consiglio ha deciso di procedere all'assunzione urgente di quattro colleghi a tempo determinato. E' stato pubblicato un avviso per la ricerca dei giornalisti al quale risulta abbiano risposto molti colleghi, ma finora nessuno è stato ancora assunto. La Presidente del Consiglio, Claudia Lombardo, ha comunicato a suo tempo al sindacato che è intenzione dell'Ufficio di presidenza procedere successivamente ad una selezione per l' assunzione di quattro giornalisti a tempo indeterminato. Aspettiamo.
E già che parliamo di Consiglio regionale non posso non ricordare ancora una volta, con rammarico, che nonostante l'approvazione della legge istitutiva il 26 luglio del 2008, non è stato ancora nominato il CORECOM, il comitato regionale per le comunicazioni. La Sardegna, lo dico per l'ennesima volta, è l'unica regione italiana priva di questo importante strumento che opera già da più di 10 anni nelle altre regioni.

Per concludere la rassegna sul giornalismo contrattualizzato una notizia riguarda l'on-line, Tiscali per la precisione. L'azienda ha comunicato che la società autonoma alle dipendenze della quale erano stati a suo tempo collocati i giornalisti dipendenti sarà sciolta e i giornalisti saranno trasferiti nella casa madre. E' in se una buona notizia, ma il sindacato ha già chiesto un incontro per verificare se il trasferimento avverrà correttamente, se i diritti dei colleghi saranno tutelati e sopratutto cercherà di capire quali sono i progetti dell'azienda e quale spazio sarà attribuito alla informazione certificata.

Vorrei darvi ora alcuni dati sullo stato della nostra Associazione, non prima di aver sottolineato, con soddisfazione, l'alto livello di sindacalizzazione della categoria che resiste nella nostra regione.
I giornalisti professionali iscritti sono 503 (452 professionisti, 35 praticanti e 16 pubblicisti contrattualizzati). I professionisti iscritti all'ordine sono 549 e i praticanti 69.
I giornalisti collaboratori sono 968. I pubblicisti iscritti all'Ordine sono 1.321
Complessivamente dunque gli iscritti alla nostra associazione sono 1.471

La situazione occupazionale resta preoccupante.
I professionali contrattualizzati sono 275
Più di un terzo dei professionisti attivi, 166, sono precari o disoccupati
I pensionati sono 62
Gli iscritti alla gestione separata dell'INPGI sono 612

Questi numeri introducono il capitolo sul lavoro autonomo. Argomento difficile da affrontare perché da sempre rappresenta la croce del sindacato che, pur impegnandosi a fondo e con serietà non riesce a dare risposte se non limitate. La FNSI ha costituito una commissione ed un'assemblea del lavoro autonomo alla quale hanno partecipato anche i delegati della Sardegna. L'Associazione della stampa ha costituito a sua volta la commissione regionale, composta da colleghi che stanno lavorando con impegno e sono già venute proposte interessanti.

Per capire meglio la situazione secondo me occorre dividere l'argomento in almeno tre tipologie di lavoro:
1) il precariato tradizionale, costituito da colleghi professionisti o pubblicisti che hanno rapporti di lavoro a tempo determinato in attesa di stabilizzazione.
2) I free lance, colleghi che lavorano senza vincoli di dipendenza, ma traggono dal lavoro giornalistico l'unica o la principale fonte di sostentamento.
3) Infine I collaboratori, coloro che hanno un'altra attività e svolgono anche lavoro giornalistico.

Sul precariato tradizionale ho già detto prima quale è la posizione del sindacato: devono essere stabilizzati.
Per i free lance i problemi più urgenti sono: il tariffario delle collaborazioni, la tutela della professionalità nei confronti dei committenti e l'agibilità delle opportunità di lavoro extraredazionale, uffici stampa in primis, oltre che, naturalmente, l'accesso alla professione e quindi il transito dalla condizione di lavoratore autonomo a quella di lavoratore dipendente.
Infine per i collaboratori valgono i primi due problemi già sollevati per i free lance.

Lascerei da parte il problema dell'accesso alla professione stabilizzata per la quale il sindacato si batte da sempre, ma si scontra con i numeri che, nella loro impietosità, dicono che la domanda di posti di lavoro supera in maniera irrecuperabile l'offerta.
Penso invece che qualcosa si possa fare su altri fronti. Sul tariffario per esempio. Finora tutti i tentativi fatti, e non solo in Sardegna, per riportare le tariffe delle collaborazioni a livelli appena remunerativi sono andati a vuoto. Imporre un tariffario minimo con lo strumento della contrattazione collettiva si può e si deve ritentare. Sulla tutela della professionalità qualcosa di serio è stato fatto, con l'accordo collettivo nazionale sul lavoro autonomo, per esempio e con l'adeguamento dei contributi INPGI (che sono ormai ai livelli del lavoro dipendente), ma molto c'è ancora da fare sul piano dell'applicazione di questi strumenti.
E' importantissimo il lavoro dell'Ordine dei giornalisti della Sardegna che con la sua “Carta sul precariato” del marzo del 2008 ha richiamato ad un comportamento deontologicamente corretto tutti i giornalisti contrattualizzati, spesso complici impietosi degli editori nello sfruttamento del lavoro autonomo. Sono convinto che questa sia la direzione da seguire anche da parte del sindacato.
Infine gli spazi extraredazionali, gli uffici stampa per intenderci. Come ho detto prima il sindacato è impegnato a fondo per la creazione di questi strumenti informativi nelle pubbliche amministrazioni. Resta il campo degli incarichi di enti e privati che si servono di professionisti per la loro comunicazione esterna. E' stata rinnovata nei giorni scorsi nel corso di un'assemblea di free lance, proprio in questa sala, la denuncia sull'assunzione di uffici stampa da parte di giornalisti contrattualizzati. Faccio mia quella denuncia e rinnovo ancora una volta l'appello: chi ha già un lavoro stabile, rinunci agli uffici stampa e lo faccia subito perché è deontologicamente scorretto e perché sta sottraendo lavoro a chi con quel lavoro potrebbe vivere una sua autonoma vita professionale.
Faccio una proposta: l'Associazione della stampa potrebbe compilare un elenco di giornalisti specializzati nella comunicazione istituzionale ed aziendale e renderlo pubblico, a disposizione di enti, istituzioni ed aziende private.

Molte sono le iniziative assunti dall’Associazione della stampa sarda nel triennio. Vorrei ricordarne tre, a mio parere significative dell’impegno sui temi della professione.
Il convegno su “Intercettazioni e diritto all’informazione” il 13 dicembre 2008 al Palazzo di giustizia di Cagliari, con la partecipazione di magistrati, avvocati, giornalisti ed editori.
Gli stati generali dell’informazione in Sardegna, ad Alghero il 12 e 13 novembre 2009, con i vertici degli enti di categoria e una larga partecipazione di politici a cominciare dai presidenti della Regione e del Consiglio regionale.
Il Meeting dei giornalisti del Mediterraneo, con la partecipazione di 90 colleghi provenienti da quasi tutti i Paesi mediterranei e anche da altri Paesi europei. A Cagliari ripresero a dialogare giornalisti israeliani e palestinesi, dopo un lungo periodo di black out. La Carta di Cagliari, approvata al termine dei lavori, è stata a lungo citata anche nel Congresso mondiale dell’IFJ, tenutosi a Cadice un mese dopo.

Infine il Congresso della FNSI. Ne parlerà certamente Franco Siddi che, come certo sapete, è stato ricandidato all'unanimità dalle componenti di maggioranza alla Segreteria generale, riconoscimento inequivocabile del valore straordinario del
lavoro svolto e dei risultati conseguiti. A partire dal rinnovo del Contratto, dopo anni di mobilitazione e di lotta, e dalla difesa della professione, anche con manifestazioni di valore storico, come quella grandiosa del 3 ottobre dell'anno scorso a Roma. Troppo lungo sarebbe l'elenco delle cose fatte, delle vertenze affrontate e risolte. Forse neanche lui le ricorda tutte. Franco è il migliore rappresentante possibile per un sindacato libero ed autorevole, un sindacato che dialoga con gli editori e con la politica, ma non prende ordini. Un sindacato che considera la sua autonomia un bene prezioso e non esista ad affrontare lo scontro se necessario.
Ho detto più volte e voglio ripeterlo che ho sempre sostenuto Franco, non solo e non tanto per l'amicizia profonda che ci lega, ma soprattutto per il modello di sindacato che lui è impegnato a rappresentare.

Concludo con qualche ringraziamento, me lo concederete. A Paola, Silvana e Silvia, innanzitutto perché con il lavoro e la professionalità hanno fatto si che la nostra associazione sia un punto di riferimento sicuro ed efficiente al servizio dei colleghi e della categoria. Al presidente dell'Ordine Filippo Peretti, ai fiduciari di INPGI e Casagit, Stefano Salone e Andrea Artizzu, a Gianni Perrotti, consigliere di amministrazione Casagit, per la competenza e la disponibilità; ai presidenti dei gruppi di specializzazione e ai colleghi dei cdr per la passione e l'impegno. Un ringraziamento particolare a Piergiorgio Pinna, vice presidente e insostituibile portatore di idee e di consigli e agli altri colleghi che hanno deciso, con mio grande rammarico, di non ricandidarsi.
E poi a tutti i colleghi che hanno lavorato con me in direttivo in questi anni difficili e sono pronti a ricominciare. Sono certo che ognuno di loro avrebbe potuto passare alla guida dell'Associazione senza scossoni, anzi imprimendo maggiore energia e velocità. Ma non hanno voluto ed hanno anzi deciso che fossi io a ricandidarmi. E io, che sono un debole, ho accettato. Peggio per loro e peggio per voi.